Beato Carlo e Zita d'Asburgo

SAIR archiduc Rudolphe d'Austria

Buon pomeriggio! Sono lieto di essere qui con voi per condividere la storia della vita dei miei nonni che hanno vissuto in tempi difficilissimi. Mi tocca sintetizzare molto perché vi racconterò 100 anni di storia. Mio nonno, l’arciduca Carlo d’Austria, nacque nel 1887 a Persenbeug sul Danubio. La sua famiglia era benestante e la sua vita ben programmata: studi, lingue (parlava correntemente 14 lingue) e carriera militare. Ovviamente era stato educato nella fede cattolica e già da giovanissimo era molto devoto e attento ai poveri.

Era molto lontano dal trono dell’Impero austro-ungarico e l’imperatore Francesco Giuseppe regnava in quel momento su una quindicina di nazioni.

Una serie di omicidi e decessi lo portarono all’inizio del XX secolo al secondo posto nella linea di successione all’imperatore Francesco Giuseppe, dopo l’arciduca Francesco Ferdinando.

Mia nonna, nata principessa di Borbone-Parma, che era anche la mia madrina, nacque a Pianore in Toscana il 9 maggio 1892. Era la diciassettesima figlia di Roberto, ultimo duca regnante di Parma, e della principessa Maria Antonia di Braganza (Portogallo).

Al battesimo le fu dato il nome di Zita, patrona dei servi e dei domestici.

Il duca di Parma era ricco, colto e molto devoto. Educava in parte lui stesso i propri figli. Sotto la guida della madre, Zita e sua sorella Francesca cucivano abiti durante le vacanze a Pianore e poi andavano a distribuirli ai poveri, curandoli. Zita seguiva già l’esempio della sua santa patrona che diceva: «Le mani al lavoro e il cuore a Dio».

Mia nonna mi disse un giorno: «Ho vissuto un’infanzia straordinariamente gioiosa e felice nella mia famiglia» e aggiunse «wir waren eine freuliche Schar»… «eravamo un gruppo molto allegro». Entrambi i miei nonni hanno quindi avuto un’infanzia serena, un’educazione strutturata e una famiglia in cui tutto era radicato nella fede e nell’attenzione verso gli altri.

Dopo essersi incontrati in Boemia, dove mio nonno era di servizio come ufficiale vicino a Praga, i due giovani, rispettivamente di 22 e 17 anni, si sentirono subito attratti l’uno dall’altra e il loro affetto reciproco si trasformò in amore.

Si fidanzarono il 13 giugno 1911 a Pianore. Carlo dovette partire rapidamente per Londra per rappresentare l’Imperatore all’incoronazione del re Giorgio V. Da Londra scrisse al suo ex precettore, il conte Wallis: «Sono il più felice di tutti i fidanzati, perché ho come fidanzata la migliore fanciulla del mondo».

Da parte sua, mia nonna si recò con la sua famiglia a Roma per chiedere la benedizione del Santo Padre per il suo imminente matrimonio. Mi raccontò la seguente storia: Papa Pio X concesse a lei e a sua madre una seconda udienza privata e disse: «Sposerete l’erede al trono. Vi auguro quindi ogni bene». Timidamente, per due volte, Zita aveva cercato di replicare che il suo fidanzato non era l’erede, poiché Francesco Ferdinando doveva succedere a Francesco Giuseppe. Ma Pio X, prendendole le mani, aveva insistito: «E ne sono infinitamente felice, perché Carlo è la ricompensa che Dio ha riservato alla Sua famiglia e all’Austria per tutto ciò che hanno fatto per la Chiesa. Quando lei sarà imperatrice, dovrà fare tutto il possibile con Carlo per porre fine alla guerra». Uscendo, mia nonna si rivolse a sua madre: «Grazie a Dio, il papa non è infallibile in politica». La duchessa di Parma rimase in silenzio. Era un avvertimento dato da Dio affinché la futura coppia potesse prepararsi a tempi molto difficili.

 

Il giorno prima del loro matrimonio, il 21 ottobre 1911 a Schwarzgau, i miei nonni erano andati a pregare a Maria-Zell, il grande santuario mariano austriaco, dove mio nonno aveva consegnato alla sua fidanzata il loro programma di vita dicendo: «Ora dobbiamo sostenerci a vicenda per arrivare in Paradiso!».

Le prime grandi nubi arrivarono nel 1914, quando l’arciduca ereditario Francesco Ferdinando fu assassinato a Sarajevo. Carlo lo sostituì automaticamente come arciduca ereditario. Fu poi il grande colpo di fulmine: la guerra mondiale! L’imperatore Francesco Giuseppe dirà a Carlo, davanti a testimoni: «Dovrò fare cose di cui tu non sarai responsabile».

 

François-Joseph essendo già molto anziano, Charles divenne di fatto il maresciallo capo dell’esercito. Elaborava strategie, effettuava ispezioni al fronte e prestava sempre grande attenzione ai suoi soldati. Era considerato un capo devoto e una figura paterna per i suoi uomini. Vedendo l’esultanza della popolazione all’inizio della guerra, disse a mia nonna: «Non capisco come le persone che vedono partire i propri cari per la guerra possano essere così entusiaste».

 

L’imperatore Francesco Giuseppe essendo vedovo, Zita divenne la prima dama di corte, assumendo gli obblighi dell’imperatrice Sissi. Visita gli ospedali, si occupa della raccolta di fondi per i bisognosi e organizza mense per i poveri. Il cardinale arcivescovo di Vienna la definì «l’angelo custode di tutti coloro che soffrono».

Poi arrivò il secondo colpo di fulmine. Il 21 novembre 1916, nel pieno della guerra, l’imperatore Francesco Giuseppe morì! Carlo divenne imperatore e re. Il suo primo atto politico fu un manifesto intitolato “An meine Völker (Ai miei popoli)” in cui si impegnava a fare tutto il possibile per ottenere una pace onorevole. “Nessun uomo”, scriveva, “può giustificare quella guerra davanti a Dio. La fermerò prima possibile”.

Carlo, diventato imperatore, ereditò la guerra insieme alla corona. Mio zio Otto fa il seguente paragone: immaginate un aereo in fiamme, il pilota è morto per un arresto cardiaco e il copilota, l’imperatore Carlo, cerca di arrestare la caduta dell’aereo… Invano!

Gordon Brook-Shepherd, il grande storico inglese, lo ha riassunto in una formula chiara: «Carlo aveva bisogno di riforme per imporre la pace; aveva bisogno della pace per imporre le riforme». Prima di aggiungere: «Il problema si rivelò irrisolvibile». Fu una grande sofferenza per i miei nonni, perché ne erano ben consapevoli.

Il 30 dicembre 1916 Carlo e Zita furono incoronati re e regina d’Ungheria e ricevettero entrambi l’unzione reale. Durante l’unzione di mia nonna, il vescovo di Vezprem disse: «Ricevi la corona della sovranità, affinché tu sappia che sei la sposa del re e che devi sempre prenderti cura del popolo di Dio. Più in alto sei posta, più devi essere umile e rimanere in Gesù Cristo». Cristiani ferventi, figli devoti della Chiesa, i due sovrani erano penetrati dalla dimensione mistica dell’incoronazione. D’ora in poi, avrebbero portato davanti a Dio la responsabilità dell’Ungheria.

Carlo e Zita erano una coppia vera e si erano giurati fedeltà e sostegno, nella buona e nella cattiva sorte, davanti a Dio e agli uomini. Il «peggio» doveva ancora venire.

Le nuvole si condensavano ancora…

L’onestà intellettuale dell’Imperatore non era condivisa da tutti coloro di cui si fidava: i suoi collaboratori e alcuni altri capi di Stato, che ne approfittarono. I suoi sforzi per la pace non erano una capitolazione, poiché intrapresi in un momento in cui l’Austria-Ungheria era in una posizione di forza. Fece pressione sui tedeschi e sull’imperatore Guglielmo II; sostenne l’appello alla pace di Papa Benedetto XV e incaricò i suoi cognati, i principi Sisto e Saverio di Borbone-Parma, di presentare il suo progetto di pace ai francesi e agli inglesi. La sua lettera riservata cadde nelle mani di Clémenceau, che la rese pubblica perché ostile alla pace con una potenza cattolica. Carlo fu anche tradito dal suo primo ministro, il conte Czernin, e da alcuni altri suoi ministri.

 

La storia lo soprannominò tuttavia «l’Imperatore della Pace», non solo per i suoi sforzi di pace, ma anche per la sua pace interiore con la propria coscienza e con Dio, poiché condivise le sofferenze dei suoi sudditi e fece di tutto per alleviarle.

Zita, oltre alle visite agli ospedali e ai poveri, dava l’esempio insieme all’imperatore. Mentre gli orrori della guerra continuavano, Carlo eliminò ogni lusso dai suoi palazzi. I cavalli della Hofburg e le carrozze furono messi al servizio dei poveri per portare loro cibo e carbone. Lui e la sua famiglia mangiavano pane nero e le razioni diminuivano, sia per loro che per gli altri cittadini dell’Impero. Spesso l’imperatore mangiava solo due volte al giorno piccole razioni, una volta al mattino presto e, a volte, 18 ore dopo, la sera. Le uniche “vacanze” che si concesse furono i frequenti viaggi con l’imperatrice Zita per vedere i suoi sudditi, consolarli, incoraggiarli e, quando possibile, fare donazioni.

Nonostante tutte quelle difficoltà, durante i suoi due anni di regno, Carlo svolse un’attività impressionante, la più importante delle quali fu quella di adottare misure per migliorare la situazione sociale. Fu influenzato in particolare dall’enciclica “Rerum novarum” di Papa Leone XIII. A tal fine, creò i ministeri degli affari sociali e della sanità, che furono una novità mondiale.

Inoltre, volle riformare la monarchia in uno Stato federale. Avviò anche una riforma agraria e istituì un controllo dei prezzi per i poveri, lottò contro la corruzione, organizzò aiuti per la distribuzione di generi alimentari e protesse i giovani dalla «letteratura di bassa lega». Decretò anche un’amnistia generale. Era consapevole che molte delle misure adottate indebolivano la sua posizione personale. Per lui contavano solo la giustizia e l’equità. Gli bastava sapere di aver fatto il suo dovere verso Dio e il prossimo, e che quello era il privilegio più grande della corona.

Il 3 novembre 1918 l’Austria-Ungheria firmò un armistizio con gli alleati e otto giorni dopo la Germania capitolò. L’11 novembre 1918, un gruppo di membri del governo viene a Schönbrunn per chiedere l’abdicazione dell’imperatore. Egli rifiutò, dicendo che non poteva rinunciare a una corona che gli era stata affidata da Dio e trasmessa dai suoi antenati; tuttavia, rinunciò all’esercizio temporaneo del potere per impedire agli alleati di vendicarsi ancora di più sui suoi popoli. Due giorni dopo fece la stessa dichiarazione riguardo all’Ungheria. In entrambi i casi non abdicò; sarebbe rimasto imperatore, nonché re incoronato e consacrato.

All’inizio del 1919, sotto la pressione del governo austriaco, a causa della sua grande popolarità, Carlo e la sua famiglia furono costretti ad andare in esilio in Svizzera. L’imperatore non disponeva di alcuna risorsa. Fatto raro nella storia dinastica, gli Asburgo, dopo aver goduto di una fortuna considerevole, avevano perso tutto.

Nonostante tutte le sue attività, Zita era anche madre. Avrà otto figli dal 1912 al 1922, anno della nascita Primo l’arciduca Otto, seguito da Adelaide, Roberto, Felice, Carlo Luigi, mio padre, nel marzo 1918, poi, in esilio, Rodolfo, Carlotta e infine Elisabetta, nata due mesi dopo la morte dell’imperatore. Con i loro figli, i sovrani iniziarono un’educazione rigorosa, in cui tutto era radicato nella fede. I principi, insegnavano, devono servire gli altri: non sono nati per loro stessi, ma per servire.

Partendo due volte dalla Svizzera, il re tornò in Ungheria vincolato dal giuramento prestato durante la sua incoronazione e unzione. Era immensamente popolare tra la popolazione e l’esercito ungherese. La seconda volta lo accompagnò mia nonna. Per due volte l’ammiraglio Horthy, reggente d’Ungheria, che aveva giurato fedeltà al suo sovrano, lo tradì. Mio nonno non volle versare il sangue dei suoi sudditi e diede ordine di non sparare. Horthy catturò la coppia reale e la consegnò agli inglesi.

 

Quei ultimi portarono i miei nonni su una nave, attraverso il Danubio e il Mediterraneo, verso una destinazione sconosciuta. Soffrivano per non avere notizie dei figli e per non avere il conforto della Messa e dei sacramenti che erano per loro una gioia quotidiana.

 

Quindici giorni di navigazione li portarono a Madeira. Dopo un breve soggiorno a Funchal, arrivarono i figli e poterono raggiungere, sempre senza mezzi, la «Quinta do Monte» a 700 metri di altitudine. Era una residenza estiva, senza riscaldamento, di un banchiere dell’isola.

Una lettera di una domestica austriaca ritrovata poi spiega meglio cosa fosse la loro vita lassù:

Ci siamo trasferiti da Funchal sulla montagna dove non c’erano quasi mobili e abbiamo dovuto prendere in prestito quasi tutto dall’hotel Victoria. Poiché la nostra biancheria, le stoviglie e i bicchieri non erano ancora arrivati, siamo stati costretti a farceli prestare anche dall’hotel. Oltre a quello, c’è sempre nebbia, pioggia, umidità. Su queste montagne fa freddo. Qui non abbiamo la luce elettrica, solo un bagno; l’acqua c’è solo al primo piano e al piano di sotto, in cucina. Per riscaldarci abbiamo solo legna verde che fuma continuamente. La casa è molto umida; ovunque c’è odore di muffa e ognuno può vedere il proprio respiro. Il povero imperatore non può mangiare carne la sera, solo verdure e un dessert; questo è ciò che ci dispiace di più. Per noi non importa, non mi manca ; ma loro non hanno nemmeno abbastanza da mangiare. La cosa peggiore è che Sua Maestà deve partorire nel mese di maggio e non vogliono assumere né una balia né un medico. Qui c’è solo una bambinaia, ma non ha esperienza. Quindi non ci sarà nemmeno una vera ostetrica. Ne sono disperata. Scrivo all’insaputa di Sua Maestà, ma non posso sopportare che quelle due creature innocenti siano lasciate qui a lungo, in una casa del tutto inadeguata. Dobbiamo protestare. Le Loro Maestà non si muoveranno; preferirebbero piuttosto farsi rinchiudere, senza dire una parola, in una buca o in una cantina, a pane e acqua, se così fosse richiesto. Nella nostra cappella, i funghi crescono sui muri; e non si potrebbe stare nelle camere se non si tenesse costantemente acceso il fuoco nei camini. Naturalmente ci mettiamo tutti insieme per aiutare il più possibile, ma a volte viene voglia di disperare. Solo che, quando vediamo con quanta pazienza le Loro Maestà sopportano tutto questo, ci rimettiamo al lavoro”.

 

Il 9 marzo 1922, mio nonno scese a piedi fino a Funchal per comprare un piccolo regalo simbolico per mio padre che avrebbe compiuto 4 anni il giorno dopo. Durante il tragitto prese freddo e nei giorni seguenti le sue condizioni peggiorarono; iniziò ad avere la febbre alta e tossiva continuamente. Zita, spaventata, chiamò un medico di Funchal che lo visitò insieme a un collega. Confermarono i timori dell’imperatrice: Carlo era gravemente malato di polmonite e, poiché era già molto indebolito, non era in grado di combattere la malattia.  Inoltre, non aveva i mezzi per farsi curare in ospedale e, nel 1922, non esistevano antibiotici. L’imperatore soffriva molto per i suoi dolori, ma anche per le preoccupazioni per coloro che amava, la sua famiglia e i suoi sudditi.

Zita rimase accanto durante tutta la malattia, confortandolo, curandolo e pregando con lui. Carlo passava la maggior parte del tempo in preghiera, pregando per la sua vita e la sua famiglia. Pregava anche per i suoi sudditi, che amava come un padre ama i propri figli, e per coloro che lo avevano tradito e mandato in esilio. La sera prima di morire, Carlo mormorò: «Devo soffrire così, affinché i miei popoli possano un giorno riunirsi di nuovo». Quelle ultime ore furono anche oscurate dal fatto di morire così lontano dalla sua patria.

Poco prima di morire, Carlo disse alla moglie: «Sempre e in ogni cosa, mi sforzo di riconoscere il più chiaramente possibile la volontà di Dio e poi di seguirla il più completamente possibile», ed è proprio quella sottomissione alla volontà di Dio che fece di lui un Capo di Stato eccezionale, nonostante uno dei regni più brevi della storia.

 

Per tre settimane l’imperatore soffrì molto per le cure mediche, la tosse continua,i soffocamenti e le temperature molto elevate. Il giorno della sua morte, Carlo chiese al sacerdote di ricevere la Santa Comunione e ricevette il Sacramento dell’Estrema Unzione. Cercò di baciare il crocifisso che teneva tra le mani, ma era troppo debole per farlo. Carlo disse ancora alla moglie: «Ich liebe Dich unendlich» (ti amo infinitamente), poi: «Ci ritroveremo nel cuore di Gesù». Circa dieci minuti prima di morire, guardando il Santissimo Sacramento, disse: «Sia fatta la tua santa volontà. Gesù, Gesù, vieni! Sì, sì. Mio Gesù… Gesù». Poi mormorò dolcemente «Gesù» e morì. Era poco dopo mezzogiorno, sabato 1° aprile 1922. Aveva solo 34 anni.

Carlo fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004 a Roma. Nella sua omelia, disse tra l’altro: «Il dovere essenziale del cristiano è il seguente: in ogni cosa, cercare la volontà di Dio, riconoscerla e poi agire. Quell’obiettivo quotidiano era quello dell’uomo di Stato e cristiano Carlo d’Austria. Era un amico della pace. Dal suo punto di vista, la guerra era una cosa terribile. Fin dall’inizio, l’imperatore Carlo comprese che il suo dovere di sovrano era un santo servizio ai suoi popoli. Il suo obiettivo principale era quello di seguire la sua vocazione cristiana alla santità, anche nella sua missione politica. Di conseguenza, era molto importante per lui che l’amore per il prossimo si traducesse in leggi sociali.»

 

Dopo il funerale, il 5 aprile, l’imperatrice, sempre senza mezzi, non ha più nulla da fare a Madera. Mia nonna arrivò in Spagna, accolta dal re Alfonso XIII.

Il 31 maggio 1922, diede alla luce la sua ottava figlia, la piccola Elisabeth.

A Parigi, il 2 aprile, Jacques Bainville, grande storico francese, annotò nel suo diario: «Un Asburgo muore di povertà e Guglielmo II vive un ritiro dorato».

Mia nonna, molto vicina all’Abbazia di Solesmes, scrisse a Madre Claire de Livron, badessa di Sainte-Cécile, il 15 maggio 1922, in seguito alle condoglianze da lei ricevute: “Profondamente commossa dalla bellissima lettera che mi ha scritto in occasione della morte dell’Imperatore, La ringrazio di cuore. Ah sì! Dio gli ha restituito il trono e la corona che gli uomini gli avevano ingiustamente sottratto, ma che trono e che corona diversi! Niente più spine, niente più persecuzioni e calunnie, ma ormai la beatitudine eterna, la corona promessa ai santi. L’Imperatore è felice in cielo accanto al Buon Dio che ha tanto amato su questa terra e dalla cui mano ha sempre accettato, con uguale gratitudine, gioie e dolori.

Il Buon Dio, trovandolo maturo per il cielo, è venuto a prenderlo per dargli quella parte migliore che nessuno può togliergli. Quanto a me, mi ha lasciato il Calvario da scalare, poiché non l’ho ancora fatto. Vedevo con gioia, ma anche, lo confesso, con angoscia, l’anima dell’Imperatore perfezionarsi rapidamente e sempre di più e spesso mi dicevo: dove andrà a finire? Eppure, nel frattempo, vedendo che non aveva bisogno del mio aiuto, mi lasciavo andare sempre di più. Ora sono terribilmente punita, poiché devo percorrere da sola il cammino che avrei potuto fare così bene insieme all’Imperatore. La prego, signora, di non dimenticarmi nelle Sue preghiere, affinché io riesca a scuotermi dal mio torpore e che, con energia e costanza, io potesse raggiungere la meta, dove vicino a Dio mi attende già l’Imperatore“.

 

Si stabilì con la sua famiglia a Lequitio, sulla costa basca, dove la villa Uribarren era in affitto per sei mesi.  L’affitto? Zita non aveva più soldi di quanti ne aveva a Madera. Ma dall’Austria, dall’Ungheria e dall’Impero, i sudditi fecero una colletta. Con umiltà, questo aiuto fu accettato.

Da Lekeitio, l’Imperatrice scrive anche alla suora Marie-Hilaire Tonnelier, una mistica francese. Nella sua lettera del 12 gennaio 1923, scrisse:

 

«Mia cara suora, […]Qui non abbiamo ancora un alloggio per l’inverno e inoltre il proprietario ci ha intimato di lasciare questa casa entro il 31.01.1923. Il Buon Dio che dà il ramo agli uccelli troverà sicuramente un tetto per ripararci […] Il Buon Dio fa tutto così bene, e ne abbiamo avuto così tante prove, che più che mai ci abbandoniamo completamente alla Provvidenza; è così piacevole, facciamo il possibile, ma senza alcuna agitazione; non funziona? Bene! Allora significa che il Buon Dio ha in serbo un’altra soluzione! Si continua, se funziona, allora era quella, altrimenti si continua ancora. Poveri quelli che non conoscono l’amore di Dio per le Sue creature e che si rendono la vita così amara con le loro preoccupazioni, li compatisco! ».

È straordinario vedere il grado eroico di fede e di sottomissione alla volontà di Dio espresso qui da una persona che non ha una casa dove far vivere la sua famiglia e i suoi otto figli, che è vedova da meno di un anno, che non ha soldi, che è stata tradita e bandita.

Nel 1929: nuovo esilio. Bisogna pensare agli studi universitari dei figli più grandi. Mia nonna sceglie l’Università Cattolica di Lovanio. La regina Elisabetta del Belgio era sua cugina germana. Sudditi leali le forniscono piccole somme di denaro per pagare l’affitto e il cibo in Belgio.

Già dal 1934 la propaganda nazista si era scatenata contro Zita e, dopo l’Anschluss, nel 1938 Himmler firmò un decreto a nome del suo «amato Führer» che condannava a morte, in contumacia, l’imperatrice e i suoi figli. Il 9 maggio 1940, durante l’invasione del Belgio, Hitler fece bombardare la tenuta della mia famiglia. Grazie a Dio, le tre bombe che colpirono il castello non esplosero. Zita dovette fuggire. Mio padre la accompagnò di notte, con una piccola valigia. Si misero in viaggio verso Bruxelles, Dunkerque, poi verso sud e attraversarono il confine spagnolo. La famiglia viaggiò poi attraverso il Portogallo, verso New York e Boston. Tuttavia, i più giovani dovevano finire l’università. Fu scelta Laval, in Québec. Mio padre, nel 1941, e l’arciduca Rodolfo vi finirono gli studi, poi si arruolarono nell’esercito americano. Mio padre, come ufficiale americano, partecipò allo sbarco in Normandia.

A Québec, la vita continuava. Un prete veniva ogni giorno a celebrare la messa a casa sua e mia nonna pregava continuamente per i suoi figli coinvolti nei tormenti della guerra.

Il presidente Roosevelt nutriva rispetto e stima per mia nonna e per suo figlio maggiore. Grazie ai numerosi contatti diretti con il presidente, come dimostra l’impressionante corrispondenza conservata, riuscirono nell’impresa di ottenere, da soli, dagli Stati Uniti, che l’Austria tornasse ad essere, dopo la guerra, una nazione indipendente, separata dalla Germania. Tutti i suoi figli sono ormai adulti. Non dovendosi più preoccupare della loro educazione, può dedicare il suo tempo agli altri: austriaci, ungheresi, croati, slovacchi, cechi, ecc. A Québec intrattiene una fitta corrispondenza. I rifugiati che chiedono aiuto sono certi di trovare in lei un’interlocutrice attenta. Bisognava quindi, ragionava, venire in aiuto all’Austria. Prendendo l’iniziativa, Zita contatta ricchi donatori, che promettono il loro sostegno. Poi, su invito di organizzazioni caritative cattoliche, inizia una serie di conferenze in Canada (una cinquantina in tutto). Vi parlò dell’Europa centrale, delle sue città bombardate, delle case distrutte, senza luce, senza riscaldamento, senza elettricità; della mancanza di vestiti, cibo, cure mediche. E per quei paesi lontani, la Signora in nero suscitò emozione e risvegliò la generosità.

Nel Natale del 1948, l’imperatrice si trasferì nuovamente, questa volta negli Stati Uniti, a Tuxedo, a sessanta chilometri da New York.

 

Il suo ultimo atto politico fu nel 1949, quando ottenne dal Senato americano, tramite una quarantina di mogli di senatori che aveva invitato, l’inclusione dell’Austria nel piano Marshall. Grazie a lei, l’Austria poté beneficiare dei sussidi d’oltreoceano.

 

Poiché il baricentro della sua famiglia si era spostato nuovamente in Europa e sua madre, la duchessa di Parma, era ormai molto anziana, Zita tornò in Europa e nel 1953 si stabilì in Lussemburgo, nel castello di Berg, per prendersi cura di sua madre. Nel 1959, la duchessa Maria-Antonia morì all’età di 97 anni. Il vescovo di Coira, in Svizzera, le propose di trasferirsi in un convento nei Grigioni, a 800 metri di altitudine, al Sankt Johannes Stift di Zizers. Vi visse per 27 anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1989. Abitava in un piccolo appartamento di 3 locali con veranda al secondo piano del convento. L’alloggio era modesto, poiché disponeva solo di pochi oggetti personali. Nel 1973 dovette affrontare il dolore di perdere una delle sue figlie, uno dei suoi nipoti e la sua fedele sostenitrice, la contessa Kerssenbrock. Quest’ultima fu sostituita, fino alla morte dell’imperatrice, dalla baronessa Plattpach, dell’Alto Adige.

Come oblata di San Benedetto, il centro spirituale della sua vita era a Solesmes. Aveva tre sorelle religiose nell’abbazia benedettina di Santa Cecilia. Gli archivi di Solesmes mostrano che vi fece la sua prima visita da bambina nel 1899 e che il suo ultimo contatto fu una telefonata con la Reverenda Madre Superiora all’inizio del 1989, Ebbe dunque un contatto con le suore benedittine per un periodo di 90 anni.

Durante la sua vita, fu ricevuta in udienza da tutti i papi da Leone XIII a Giovanni Paolo II. Con l’eccezione di Giovanni Paolo I, che tuttavia durante il suo breve pontificato trovò il tempo di inviarle un messaggio di incoraggiamento riguardo al processo di beatificazione di suo marito. L’apertura di questo processo in Vaticano, nel 1949, le causò anche un’enorme gioia e il progresso del processo sarà per lei un’intenzione di preghiera quotidiana.

Il 10 marzo 1989 iniziò la sua agonia, ricevette gli ultimi sacramenti e morì il 14 marzo 1989, circondata da alcuni dei suoi figli e nuore. Fu sepolta come imperatrice e regina apostolica, a Vienna il 1° aprile, data dell’anniversario della morte dell’imperatore Carlo.

CONCLUSIONE

Cosa possiamo imparare dalla vita dei miei nonni?

Entrambi, da giovani, hanno sviluppato la propria formazione personale. A poco a poco, si sono sforzati di sviluppare le loro virtù e di combattere i loro difetti. Al momento del loro matrimonio, hanno unito le loro forze: «Ora dobbiamo sostenerci a vicenda per arrivare in Paradiso».

Tre anni dopo sono iniziate le difficoltà, che sono continuate fino alla fine della loro vita: la guerra e i suoi orrori, i morti, i feriti, la miseria, la fame, la povertà e anche la chiara consapevolezza che tutti i loro sforzi sarebbero stati vani. Da solo contro tutti, l’Imperatore cercò di ottenere una pace onorevole e fu tradito dai suoi stessi ministri e da altri Capi di Stato. Fu esiliato, visse in povertà e morì in povertà…

L’Imperatrice conobbe la vedovanza, la povertà, le responsabilità nei confronti della sua famiglia e dei suoi popoli, diversi esili e la perdita di una delle sue figlie.

Come hanno superato tutte quelle difficoltà?

Mantenendo la loro fede e la loro speranza in ogni circostanza e praticando sempre la carità verso tutti.

Perdonando sempre ogni insulto e ogni tradimento,

Cercando costantemente di discernere la volontà di Dio, sforzandosi di compierla nel modo più perfetto possibile e, poi, abbandonandosi totalmente a questa volontà.

Accettando allo stesso modo le gioie e le disgrazie.

Mantenendo sempre la prospettiva che lo scopo della vita è arrivare in Paradiso e che la vita terrena è solo il mezzo per arrivarci.